Estratto dall’articolo di Sandro Iacometti per LiberoQuotidiano.it

Non c’è verso. Per quanto sinistra e sindacati lo invochino, lo sognino e, barando platealmente in vista delle elezioni europee, lo denuncino a ritmo serrato (è il grande tema della campagna elettorale della sinistra insieme alla sanità, altra grossolana bufala), questo regno del precariato non vuole decidersi a manifestare la sua presenza. Del resto, l’andamento positivo dei numeri sul lavoro è diventato talmente macroscopico da spingere persino Sergio Mattarella, proprio alla vigilia del primo maggio, a celebrarne i fasti.

«I dati sull’occupazione», ha detto il capo dello Stato martedì, «registrano un trend positivo e questo è motivo di grande soddisfazione per tutti noi. È una buona notizia che siano aumentati i posti di lavoro, i contratti a tempo indeterminato, la crescita del lavoro femminile». Gioco, partita, incontro? Macché. In occasione della festa del lavoro sinistra e sindacati, incuranti delle statistiche ufficiali e anche della inequivocabile ammissione del presidente, solitamente ascoltato come un oracolo, hanno continuato a stracciarsi le vesti per le sorti degli italiani costretti a vivere di stenti e di espedienti per sbarcare il lunario.

La realtà, però, è tutt’altra. E anche i dati relativi a marzo, snocciolati ieri dall’Istat, sono destinati a dare l’ennesima delusione al fronte progressista.
Già, perché il lavoro non va bene, va benissimo. Due numeri bastano a sgombrare il campo da equivoci o sotterfugi di sorta: 559mila sono i posti fissi in più rispetto al marzo 2023, 180mila sono i precari in meno.

Intorno a queste cifre ruotano una serie di record che possiamo anche non attribuire all’azione di governo, all’abolizione del reddito di cittadinanza, alla ripartenza delle politiche attive, all’effetto delle decontribuzioni per le assunzioni. Basta che se ne prenda atto una volte per tutte. E si accetti l’idea che forse, anche se sarebbe un po’ ingeneroso pensarlo, non ci sono meriti. Ma di sicuro non ci sono colpe.

Le persone con un impiego sono arrivate a quota 23,84 milioni, con un tasso di occupazione del 62,1%. Una percentuale che non solo non è mai stata raggiunta prima ma consente finalmente all’Italia di accorciare la distanza storica che la separa dal resto dell’Europa, dove gli occupati sono in media oltre il 70% della popolazione. Per avere un’idea, negli anni in cui governava il centrosinistra con Renzi e poi Gentiloni, tra il 2015 e il 2017, la percentuale oscillava tra il 55 e il 57%. E mentre l’occupazione sale, la disoccupazione scende. Anche qui con risultati sorprendenti. Nel 2015, quando a Palazzo Chigi c’era il partito che ora sbraita di più, sempre per avere un termine di paragone, il tasso era al 13%. Ebbene, a marzo il valore è sceso al 7,2%, quasi la metà. Con gli inattivi rimasti stabili al 33%.

Ma entriamo ancor più nel dettaglio. La crescita complessiva dei lavoratori rispetto a febbraio è stata di 70mila unità, mentre quella rispetto allo stesso mese dello scorso anno di 425mila unita, con un aumento anche di 46mila autonomi, molto positivo dopo la fase drammatica del Covid. Nel complesso i lavoratori dipendenti raggiungono i 18 milioni 793mila, gli autonomi quota 5 milioni 56mila. L’aumento dell’occupazione risulta trasversale: coinvolge sia gli uomini sia le donne e tutte le classi d’età, ad eccezione dei 35-49enni per effetto della dinamica demografica negativa.
Il tasso di occupazione delle donne sale al 53% e quello degli uomini al 71,1%, un divario su cui bisogna assolutamente intervenire, ma intanto si può essere soddisfatti che le due percentuali si trovino entrambe sui valori massimi. Così come si può essere contenti, senza per questo abbassare la guardia, di una significativa riduzione del 2,3% della disoccupazione giovanile, scesa a quota 20,1%.

I numeri sono già abbastanza chiari così. Ma visto che il leader della Cgil Maurizio Landini continua a raccontare in ogni intervista che l’85% dei contratti attivati nel 2023 è stato a termine (che è un dato non falso, ma estrapolato ad arte per ingannare), conviene scandagliare ancora più a fondo il bollettino dell’Istat e precisare che negli ultimi dodici mesi i lavoratori precari sono diminuiti del 6% alla quota record (negativa ovviamente) di 2,8 milioni di unità, mentre quelli a tempo indeterminato sono saliti del 3,6%, attestandosi un pelo sotto i 16 milioni (altro record). In pratica, su un totale di 18,8 milioni di lavoratori dipendenti, l’85% ha il posto fisso. Esattamente il contrario di quello che va dicendo da mesi il sindacalista rosso.

Detto questo, possiamo archiviare la questione lavoro e dormire sonni tranquilli? Ovviamente no. Oltre a quei 2,8 milioni di precari ci sono ancora 1,8 milioni di disoccupati (vi ricordate quando erano 3 milioni?), 12,2 milioni di inattivi, lavoratori sottopagati, part time involontari, divari di genere e mille altri problemi da risolvere. La strada è ancora lunga. Ed è per questo che il governo continua giustamente a insistere. Il pacchetto di nuovi incentivi per le assunzioni che scatterà a dicembre vale 2,8 miliardi, ha detto il ministro Marina Calderone, che ha aggiunto: «Siamo incoraggiati dai risultati, ma non ci accontentiamo».

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