Fonte:Dagospia 01.11.2021

Non si capisce se la tattica di Giuseppe Conte ed Enrico Letta sia quella del generale prussiano Von Moltke, «marciare divisi per colpire uniti», certo è che ai blocchi di partenza della sfida per il Colle i due leader sembrano andare ognuno per conto proprio: come se al pranzo della settimana scorsa non abbiano concordato nulla.

Conte dice che «non si può escludere» che Draghi vada al Quirinale, («magari per bruciarlo», malignano nel Movimento), aggiungendo però che «ciò non significa che si andrebbe a votare». Il che suona come un elemento rafforzativo, se sommato alla volontà di volersi confrontare pure con il centrodestra a riguardo, senza negare implicitamente che l’ipotesi Draghi sia ampiamente sul piatto.

Si può capire quanto i suoi parlamentari siano rimasti a dir poco perplessi nel sentire le parole del loro neo leader. Fermo nel provare a convincere la sua intervistatrice Lucia Annunziata che a lui non converrebbe affatto correre alle urne, perché ha bisogno di tempo per organizzare il suo soggetto politico.

Il secondo, cioè Enrico Letta, si muove in altro modo e non dà alcun placet all’ascesa di Draghi al Quirinale: ripete sempre che lo vorrebbe a palazzo Chigi fino al 2023, non si sbilancia su un bis di Mattarella e anche ieri ha usato parole chiare, della serie Draghi meglio lasciarlo stare a fare ciò che fa mirabilmente.

Quando a Radio 24 gli chiedono se i leader europei si aspettano di vedere Draghi al Colle, Letta replica lapidario: «Ciò che guardano e si aspettano i leader europei è che sappiamo spendere bene i soldi europei». Ora se a queste uscite distoniche sul Colle si sommano quelle di Conte sul G20, si vede che qualcosa tra le due forze lanciate verso una santa alleanza non funziona.

«Draghi la nuova Merkel? Non esageriamo», risponde Conte quando Lucia Annunziata gli chiede se sia d’accordo col giudizio di molti osservatori. Ma non è la sola rasoiata al premier, portata con guanto di velluto, in questo caso con l’argomento che non si può paragonare il peso specifico di Italia e Germania.

Non è passato inosservato, specie tra i grillini che hanno nel ministro degli Esteri uno dei protagonisti del G20, il giudizio tagliente di Conte. Con quei due colpi, uno sul doveroso coinvolgimento di Russia e Cina («non è un caso che Putin e Xi Jin Ping non siano andati») e l’altro sul compromesso sul clima, bollato come «insoddisfacente». Due nodi sui quali il premier si è speso molto, come si sa, e con lui anche il suo ministro degli Esteri.

Ora, che Conte formuli la sua analisi ok, ma che «il giorno in cui tutti i riflettori sono puntati sul G20 lui vada in televisione dalla Annunziata ad esprimere una linea non concordata con nessuno, è quanto meno fuori contesto, poteva risparmiarselo», è uno dei commenti raccolti nel gruppo parlamentare grillino.

Che appena è finita la trasmissione, dove il presidente 5s ha presentato i suoi 5 vice, ha cominciato a ribollire nelle chat. Non a caso in serata è uscito Di Maio, se ne è uscito secco: «Sul clima, come ha ribadito Draghi, abbiamo fatto passi in avanti molto ambiziosi». Seguito a ruota dal ministro Federico D’Incà: «Quelli del G20 sono accordi straodinari, è un momento di grande orgoglio per tutti».

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