Schlein

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Estratto dall’articolo di Sandro Iacometti per IlTempo 8 maggio 2023

Scendere in piazza contro gli aumenti di stipendio ai lavoratori non è facile. Così, per giustificare la grande protesta sociale contro il governo sindacati e Pd si sono inventati la balla della precarizzazione del lavoro. Una sciagura già in atto ma aggravata, manco a dirlo, dal decreto Calderone licenziato il primo maggio del governo con lo smantellamento nientemeno che del decreto dignità uscito dal cilindro dell’ex ministro del Lavoro Luigi Di Maio nel 2018. Partiamo da qui e tralasciamo il fatto che il Pd che ora sbraita quando era al governo con Matteo Renzi aveva completamente liberalizzato i contratti a termine. Punto primo, i provvedimenti messi a punto dal ministro Elvira Calderone non smantellano affatto il decreto dignità, ma modificano solo le norme sulle causali obbligatorie per i contratti di durata superiore ai 12 mesi che, per la cronaca, rappresentano il 2,5% del totale. Invece che i vincoli astrusi e inapplicabili previsti dalle legge Di Maio si rimandano i criteri ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali. In altre parole, si passa la pratica nella mani della negoziazione fra aziende e sindacati.

Una iattura? Andatelo a dire a Landini & C. Mala vera notizia è che il decreto dignità non ha comportato alcuna diminuzione dell’utilizzo dei contratti a termine. Nel 2018 i lavoratori senza posto fisso erano 3 milioni. Un anno dopo, in seguito al tremendo colpo assestato da Di Maio, erano sempre 3 milioni. E, udite udite, passata la fase pandemica (in cui il decreto dignità è stato sospeso ma i contratti a termine sono comunque scesi per la frenata dell’economia), nel 2022 sono rimasti esattamente 3 milioni. La variazione percentuale registrata dall’Istat è dello 0,8%.

Il che la dice lunga anche sull’esplosione del precariato denunciata dalle sigle e dalle opposizioni. Intanto bisogna dire che a fronte dei 3 milioni di lavoratori dipendenti a tempo, ce ne sono altri 15 milioni che invece hanno il posto fisso. Basta prendere una calcolatrice per fare le proporzioni. Poi è importante sottolineare che nel 2022, con le causali libere fino a ottobre e quelle rigide dopo, l’uncio dato degno di rilevanza è l’aumento dei posti a tempo indeterminato, cresciuti di 346mila unità (+2,4%) secondo i dati Istat. Non è tutto. Nel 2022 è anche aumentato il numero dei contratti trasformati da precari a fissi. Il passaggio al tempo indeterminato ha fatto riguardato 705mila lavoratori, il 35,3% rispetto all’anno precedente. Poi c’è l’ultima chicca. E basta guardare con attenzione il grafico in pagina per averne contezza. Da quando si è insediato il governo guidato da Giorgia Meloni nell’ottobre dell’anno scorso le assunzioni stabili, già in fase crescente nel 2022, sono letteralmente schizzate. A marzo di quest’anno i lavoratori con il posto fisso sfiorano i 15 milioni e quattrocento. Si tratta di un valore non solo ben più alto (di quasi un milione) rispetto al 2018 ma praticamente un record italiano. In sintesi, il mondo del lavoro, piaccia o no alla sinistra, non è mai stato così poco precario.

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