Torino, il Salone dell'odio e dell'intolleranza

Estratto dall’articolo di Andrea Indini per IlGiornale 2023

Murgia, Saviano e Zerocalcare contro la destra al potere. Ma le violenze del Salone del libro svelano chi sono i violenti.

E per fortuna che, giusto ieri, Michela Murgia al Salone del libro puntava il dito contro quelli che a suo dire sono i “fascisti” da combattere. E cioè Giorgia Meloni e il suo governo. Perché a guardare quello che è successo oggi pomeriggio, sempre a Torino, verrebbe da pensare l’esatto contrario. E cioè che i fascisti non sono affatto quelli dell’esecutivo ma i violenti che hanno impedito al ministro per le Pari opportunità e la Famiglia Eugenia Roccella di parlare. Guarda un po’, ancora una volta l’odio militante e l’intolleranza, che sfocia in manifestazioni di violenza fisica e ideologica, portano la firma dei soloni dell’antifascismo, disposti a tutto pur di imporre la propria ideologia.

E per fortuna che, giusto questa mattina, in una intervista a tutta pagina sul Domani, Roberto Saviano spiegava che “questa destra (quella al governo, ndr) è violentissima”, che la Meloni parla “la lingua del picchiatore” e che il suo paradigma è “spaventoso” perché impedisce a “chi ha un’altra visione” di realizzarsi. Perché oggi pomeriggio, proprio a Torino, ci verrebbe da dire che è successo l’esatto contrario. A parlare “la lingua del picchiatore” non è stata certo la Roccella, che anche dopo l’aggressione ha invitato al dialogo, ma un gruppetto da sempre abituato a impedire a “chi ha un’altra visione” di esprimerla e a incassare il buffetto compiaciuto di quegli stessi progressisti che poi vanno sui giornali a pontificare. A muovere le mani sono stati, infatti, gli eco cretini di Extinction Rebellion e le femministe di Non una di meno. Hanno unito le forze, formando un inedito branco di intolleranti, per dire chiaramente chi ha diritto di parola e chi no, al Salone del libro di Torino come in tutta Italia.

E ancora. Per fortuna che, sempre questa mattina, dalle pagine di Repubblica, Zero calcare rinfaccia alla sinistra di essersi fatta (letterale) “soltanto i cazzi propri” e di non aver determinato alcuna egemonia culturale. Perché a vedere il menefreghismo con cui i vertici del Salone del libro hanno accolto la cacciata di un ospite, che per di più è un ministro della Repubblica, saremmo spinti a pensare tutt’altro. E cioè che una “egemonia culturale” c’è (eccome!) e, guarda un po’, non solidarizza con la povera Roccella. Anzi. Siamo spinti a credere, così su due piedi, che questa “egemonia culturale” simpatizzi più con gli scalmanati, che urlavano con la schiuma alla bocca, che con la democrazia.

E questo dovrebbe spingere tutti (anche il direttore uscente del Salone del libro, Nicola Lagioia) ad accendere un campanello d’allarme. Perché, quando il dialogo e il confronto vengono messi a tacere con la prepotenza, ebbene lì finisce la libertà. E non solo quella della Roccella e delle persone (poche o tante non importa) che volevano ascoltare quello che aveva da dire, ma anche quella di tutto il nostro Paese. Che oggi, con buona pace della Murgia, è un po’ meno democratico e più fascista. E non certo per colpa della Meloni.

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