Fonte:IlGiornale 9 Gennaio 2022 di Francesco Giubilei

I referendum anti-nucleare dell’87 e del 2011 e i veti su gas e trivelle ci hanno mandati in crisi energetica

La storia della politica energetica italiana negli ultimi trent’anni si scontra con un muro di dinieghi giustificati, più che da motivazioni nel merito, da preconcetti ideologici la cui origine ça va sans dire è quasi sempre dello stesso colore: rossa. L’ambientalismo della sinistra è fondato, più che su soluzioni, sulla bocciatura delle proposte messe in campo da chi cerca di risolvere i problemi di cittadini e imprese che si trovano a fronteggiare un aumento del costo dell’energia senza precedenti in tempi recenti. Un incremento che è anche il frutto dell’assenza di una sovranità energetica italiana, minata da un susseguirsi di scelte sbagliate sia da un punto di vista strategico sia geopolitico.

Già nel 1987, con il primo referendum sul nucleare, si formò un fronte compatto tra i radicali, i verdi e il PCI che, dopo le iniziali diffidenze, decise di schierarsi per il sì al quesito per l’abrogazione delle centrali elettronucleari sul suolo nazionale. Ma il referendum, promosso sull’onda emotiva del disastro di Chernobyl, era costituito anche da un altro quesito in cui si chiedeva agli italiani: «Volete che venga abrogata la norma che consente all’Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero?». Così, ci trovammo da un momento all’altro senza impianti nucleari italiani e senza la possibilità di partecipare in investimenti nelle centrali straniere. Poco importa che lo Stato dovette sobbarcarsi costi miliardari (che ancora paghiamo) per la dismissione delle scorie e che le nazioni confinanti (Francia in primis) continuassero a utilizzare l’energia nucleare.

Non va meglio con il referendum del 2011 in cui un fronte compatto costituito da Idv, Pd, Verdi, Sel, Radicali e Rifondazione-Pdci, si esprime per l’interruzione dei programmi nucleari promossi dal governo Berlusconi per contenere l’impennata dei prezzi di gas naturale e petrolio tra il 2005 e il 2008. Obiettivo del governo era la costruzione di nuovi rettori per arrivare a una produzione di energia elettrica nucleare pari al 25%. Per farlo viene creata la società «Sviluppo Nucleare Italia S.r.l.» con l’obiettivo di redigere studi per la costruzione in Italia di almeno quattro reattori nucleari entro il 2020. Immaginiamoci se questo progetto non fosse stato bloccato dal referendum del 2011 (questa volta influenzato dal disastro di Fukushima) oggi in quale situazione di maggiore autonomia energetica ci troveremmo.

Se l’energia nucleare si è scontrata con il muro di no dell’ambientalismo rosso, non è andata meglio per il gas, che è finito nel mirino dei disfattisti ambientali. Si ricorderà la battaglia del M5S per bloccare il TAP, il Gasdotto Trans-Adriatico che attraversa Grecia e Albania per arrivare in Puglia, un’infrastruttura strategica per tutta Europa. Un’opposizione totale che metteva nel mirino anche le trivelle nel mar Adriatico per aumentare l’estrazione di gas italiano, ma che nasconde una grande ipocrisia di fondo: mentre da noi si fermano le estrazioni, a pochi chilometri dal confine marittimo italiano, Grecia e Croazia continuano a trivellare.

Arriviamo al dibattito di questi giorni con l’ipotesi dell’Ue di inserire il gas e il nucleare pulito come energie green, a cui si oppone ancora una volta la sinistra. Una posizione sintetizzata dalle parole del segretario del PD Enrico Letta: «Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione UE sta facendo circolare. L’inclusione del nucleare è per noi radicalmente sbagliata. E il gas non è il futuro, è solo da considerare in logica di pura transizione verso le vere energie rinnovabili». Il grande errore della sinistra è credere che le rinnovabili possano essere l’unica fonte di energia che abbiamo a disposizione, come testimoniano le parole del segretario di Sinistra italiana Fratoianni che, criticando le aperture al nucleare delle ultime settimane, ha sottolineato la necessità di «investire seriamente nelle energie rinnovabili» senza comprendere l’imprescindibilità di un mix energetico.

 

Il dramma è che, a fare le spese di questo approccio ideologico, non sono solo cittadini e imprese, ma anche l’interesse nazionale.

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