Fonte:IlTempo 03 agosto 2022 Luigi Frasca
Dopo giorni di tensioni e accuse, stop and go, una stretta di mano poi disconosciuta e due ore di faccia a faccia con tanto di testimoni per evitare eventuali nuove marce indietro, Enrico Letta e Carlo Calenda, assieme a Benedetto Della Vedova, siglano un patto elettorale che li vedrà correre insieme alle urne. Patto scritto nero su bianco in cui si mette ben in chiaro che nessun leader sarà candidato nei collegi uninominali, ma nemmeno personalità divisive (come gli ex M5S, Luigi Di Maio, esponenti della sinistra), di cui si faranno carico i dem, assicurano dal Nazareno. Niente «blindatura» nemmeno per le ministre ex FI Gelmini e Carfagna, che saranno candidate da Azione nel proporzionale. Una «spartizione» che vede il 70% dei seggi al Pd e il 30 a Azione e Più Europa (scomputando dal calcolo le altre liste collegate). Il patto prevede anche l’accordo su alcuni punti programmatici: dall’ancoraggio solido all’Europa al sostegno all’Ucraina con il contrasto del regime di Putin, ma anche il proseguimento dell’agenda Draghi, le energie rinnovabili e la riduzione della dipendenza dal gas russo, la realizzazione di impianti di rigassificazione nel quadro di una strategia nazionale di transizione ecologica virtuosa e sostenibile. E ancora, revisione del reddito di cittadinanza, salario minimo e taglio del cuneo fiscale. Per finire con diritti civili e ius scholae.
Un accordo raggiunto grazie alla «generosità» del Pd, si tiene a sottolineare, dove tutte i protagonisti in campo hanno «fatto un passo indietro». Letta e Calenda non nascondono la soddisfazione: l’intesa, per cui si è speso molto il segretario dem fino all’appello «accorato» di due giorni fa, viene salutata con favore dai vertici dei tre partiti (Emma Bonino fino all’ultimo ha spinto per evitare la rottura definitiva), ma causa anche qualche malumore tra i parlamentari. E per il Pd si apre un altro fronte: Sinistra italiana e Europa Verde vogliono garanzie, chiedono a Letta una verifica delle condizioni dell’alleanza e ottengono un incontro (oggi alle 15 al Nazareno). Ma c’è anche la «grana» Di Maio. Il titolare della Farnesina solo lunedì ha presentato il simbolo della nuova formazione, Impegno civico, battezzata assieme a Tabacci, eppure il patto tra Letta e Calenda travolge anche i suoi piani, a seguito del paletto sugli uninominali (il cosiddetto «lodo Fratoianni», a cui i vertici dem riconoscono la proposta). Letta incontra l’ex numero uno M5s e in serata Di Maio riunisce i suoi. Un primo incontro «interlocutorio», spiegano dal Pd, a cui ne potrebbero seguire altri nelle prossime ore. I dem sono pronti a offrire un diritto di tribuna, che però va chiesto, nella convinzione che sarebbe giusta una rappresentanza dimaiana nel prossimo Parlamento. Ma un certo malessere si allarga e coinvolge le altre forze minori, tanto da spingere idem a precisare in una nota ufficiale: «Nelle prossime liste elettorali il Pd offrirà diritto di tribuna in Parlamento ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale».
Intanto, in un Transatlantico pieno peri lavori d’Aula (stamattina ultimi voti poi tutti a casa e in campagna elettorale, con un rientro a settembre per approvare il decreto Aiuti bis) si rincorrono ipotesi: le più accreditate prevedono che il Pd si faccia carico di alcuni esponenti della società civile indicati dalle liste di sinistra, nonché di alcuni esponenti dimaiani, compreso il ministro, e secondo rumors non confermati anche di alcuni fuoriusciti da M5s, come D’Incà e Crippa. Il che andrebbe a ridurre gli spazi per i candidati dem, già in fermento. «Abbiamo dimostrato grande senso di responsabilità», sottolinea Letta, convinto che «l’Italia conti molto di più rispetto ai singoli partiti. Non è immaginabile che dopo l’esperienza del governo Draghi l’Italia passi a un governo delle destre». Letta, nonostante gli attacchi di Italia Viva, continua a mantenere la porta aperta a Renzi: «Assolutamente sì, dialogo ancora aperto». Infine, riconosce a Calenda «uno spirito costruttivo», «tutti hanno fatto un passo indietro». A sua volta Calenda riconosce a Letta la «correttezza» e garantisce: «Siamo solidi e compatti, andiamo a vincere, niente è già scritto, da oggi inizia la vera partita». Anche per il leader di Azione la partita con Renzi non è del tutto chiusa, «porte aperte», ma richiama i renziani al rispetto e a non fare la morale ai dem, e nemmeno a Di Maio, con cui hanno governato insieme. Intanto il presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto scarica Calenda perché in disaccordo con l’accordo con il Pd: «Non convidivo la tua scelta, ritengo concluso il mio breve incarico quale presidente del Comitato di Garanzia dei Liberali Democratici Repubblicani Europei».