Estratto dall’articolo di Gaetano Mineo per IlTempo.it

Il concorso esterno in associazione mafiosa è certamente «un tema di discussione». Così come è convinto della separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Luca Palamara parla a tutto campo. Sferra anche un affondo all’ex pm, Giancarlo Caselli, in merito al cosiddetto processo Borsellino, dal quale «mi attenderei un gesto di coraggio, contribuendo a far accendere i riflettori su come è andata all’interno della magistratura». Non solo giustizia, ma c’è anche politica nell’arringa dell’ex magistrato, visto che annuncia la sua discesa in campo per le elezioni europee.

Dottor Palamara, la norma sul concorso esterno è da rivedere o no?
«Bisogna essere molto chiari quando si affrontano temi così delicati, tenendo presente che il livello della lotta alla mafia non può mai essere abbassato e deve essere sempre un obiettivo centrale di qualunque maggioranza sia al governo. Detto questo – al di là dell’opportunità o meno e del segnale politico che può essere dato con il tema del concorso esterno, così come su quello della trattativa – non bisogna essere ipocriti, è un tema sul quale si è sempre discusso, soprattutto in ambito dottrinario e giurisprudenziale, su una fattispecie, quella del concorso esterno che, come ha ben detto il ministro Nordio, comunque è un tema di dibattito tra gli studiosi. Poi mi fa piacere leggere, ad esempio, che colui il quale ha avuto sempre parole critiche nei confronti del concorso esterno, il professor Giovanni Fiandaca, oggi dice attendiamo, perché non è questo il momento. Tuttavia, va detto che questo reato ha rischiato di portare dentro i processi persone che in quel contesto non erano realmente inserite. Ed è questo, penso, che debba essere un tema di discussione».

Oggi si ricorda la strage di via D’amelio dove hanno perso la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Per l’ex magistrato Caselli «va ricordata per il clamoroso depistaggio che ha impedito a lungo un regolare processo». Lo stesso Caselli ha anche attaccato Nordio in merito al concorso esterno, in quanto «fa il gioco delle tre carte».
«Sì, ho letto quest’articolo di Caselli. Lo spunto del concorso esterno, ovviamente, viene preso per attaccare il ministro Nordio, perché evidentemente il «missionario» non è dello stesso colore politico di Caselli. E questo dà un po’ l’idea e lo spessore sul tema dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e soprattutto dell’indipendenza della politica. Caselli fa riferimento al depistaggio di Scarantino? Io penso che su questo tema, che è uno dei temi che ho trattato nel mio ultimo libro “Lobby e logge”, bisogna quanto mai dare ascolto alla famiglia Borsellino, che ancora oggi chiede di capire e di comprendere perché questo sia accaduto e chiede di comprendere anche quello che è stato il ruolo della magistratura. Ecco, io mi attenderei un gesto di coraggio da parte di Caselli, di capire, anche di contribuire a far accendere i riflettori, al di là di quelle che sono state le recenti sentenze processuali, su come è andata all’interno della magistratura».

In merito al processo, invece, che ci può dire?
«Io penso che quello che è accaduto con il Borsellino quater nel 2017, dove per la prima volta viene certificata l’inattendibilità di Scarantino, sia qualcosa di assolutamente devastante e sconvolgente, ovvero il non capire e non comprendere cosa realmente sia accaduto e chi ci fosse dietro quella vicenda».

Lei sostiene, sintetizzando: tutto ciò che non è sinistra al governo, viene attaccato.
«Oggi mi sembra di rivivere un po’ le situazioni che già avevamo vissuto nel periodo 2008-2011. I protagonisti sono sempre gli stessi nella maggior parte dei casi, anche se abbiamo delle importanti new entry: i soliti organi di informazione, i soliti giornalisti che utilizzano la solita intervista di questo o quel magistrato appartenente ad una determinata area giudiziaria. Addirittura abbiamo una figura, quella di giornalisti che si trasformano in giuristi, richiamando convenzioni internazionali e mettendo in guardia dai pericoli per la democrazia, facendo passare il ministro della Giustizia Nordio, uno che nella vita ha fatto il magistrato, come l’ultimo degli improvvisati, che non sa nemmeno di quello che parla. Penso che così è un po’ troppo».

Marina Berlusconi ha dichiarato: «Mio padre continua a essere perseguitato anche dopo la morte», riferendosi alle inchieste della procura di Firenze sulle stragi del ‘93-’94.
«Questa è una storia che all’interno della magistratura gira oramai da circa un trentennio. È un’indagine sulla quale, ripetutamente, sono state svolte indagini. È anche un’indagine in relazione alla quale, io penso, sia giusto porsi delle domande e capire se debba o meno esserci un limite a disposizione di chi debba indagare. Oppure se un conto sono le norme scritte, quelle che si studiano all’università, e un conto l’applicazione pratica, cioè quello che è scritto sulle leggi non conta in qualche modo nulla. Dall’altro lato, c’è la ricerca della verità. Ma la ricerca della verità, ovviamente, deve sempre avvenire secondo i crismi e le regole del codice di procedura penale. E penso quindi che l’idea di capire cosa e perché ci possa essere dietro sia una domanda quanto mai legittima».

Pensa che la riforma sulla giustizia del governo Meloni arriverà in porto?
«Penso che in questa occasione, da quello che capisco, non ci sia una voglia di indietreggiare, quindi su questo non resterà che essere spettatori fino in fondo e capire quello che accadrà. Di certo, la riforma deve avere uno spirito riformatore con interventi oltre che sulla giustizia penale, anche sul rapporto tra politica e magistratura, cosa che la riforma Cartabia non è stata in grado adeguatamente di risolvere». E il Palamara politico? «Stiamo lavorando all’interno della compagine del centrodestra. Al di là dell’esperienza dei partiti, mi rivolgo agli elettori e anche a quella parte di italiani che non vota e che si è mostrata molto sensibile a una battaglia sul tema della giustizia e che è mio intendimento portare avanti». Ma scenderà in campo per le Europee? «Direi nì. O meglio, diciamo più sì».

 

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