Estratto dall’articolo di Micheke Zaccardi per LiberoQuotidiano

Potendo, i Cinquestelle e il Pd l’avrebbero prorogato ancora. Tanto, a pagare sarebbe stato qualcun altro. Caduto Conte, prima Draghi e poi Meloni hanno provato ad arginare la frana, ma non sono riusciti a fermarla: come un buco nero, il Superbonus 110 ha ingoiato miliardi su miliardi. E continua a farlo, se è vero che la spesa cresce di 3 miliardi al mese. Un meccanismo infernale, che finora è costato 93 miliardi di euro e si spingerà oltre i 100 (Nomisma calcola 140-150 miliardi). La colpa di questa “catastrofe contabile”, come l’ha definita il premier Giorgia Meloni, è di Giuseppe Conte e di Roberto Gualtieri, all’epoca ministro dell’Economia, che nel 2020 introdussero la maxi agevolazione edilizia e la prorogarono fino al giugno del 2022, allargandola anche alle seconde case unifamiliari. Soprattutto, i due sbagliarono grossolanamente le stime sull’impatto dell’incentivo sui conti pubblici.

Nella relazione tecnica al decreto Rilancio del maggio 2020, il governo Conte II calcolava un costo per lo Stato di 10 miliardi, spalmati su un arco di tempo di 14 anni, fino al 2033. Nemmeno un miliardo all’anno. Peccato che, alla fine del 2023, il Superbonus di miliardi ne costerà quasi 100, e cioè dieci volte tanto. Ma il conto è ancora più incredibile se si considera l’impatto sulle casse statali di tutti gli incentivi edilizi dal 2020 ad agosto 2023. Al di là delle truffe che, seppur elevate (12 miliardi), sbiadiscono di fronte al disastro prodotto sui conti pubblici, la spesa è completamente fuori controllo: circa 142 miliardi anziché i 71 stimati all’inizio. Un’enormità che in gran parte (109 miliardi) si scaricherà sul bilancio pubblico nei prossimi anni, quando i crediti di imposta saranno portati in compensazione, riducendo il gettito fiscale e gonfiando così il fabbisogno dello Stato (e quindi il debito).

I numeri messi in fila dal Ministero dell’Economia durante un’audizione del maggio scorso mostrano bene quanto la politica economica del governo Meloni sarà ipotecata dai bonus edilizi di Conte e Gualtieri. Il costo complessivo, nel frattempo lievitato di 26 miliardi (a quota 142), era calcolato allora in 116 miliardi, 45 in più dei preventivi contenuti nelle relazioni tecniche dei provvedimenti. Secondo i dati del Mef, il grosso della spesa si concentrerà durante questa legislatura: gli incentivi edilizi peseranno sul fabbisogno dello Stato per 18,6 miliardi quest’anno, 22 miliardi nel 2024, 23,6 nel 2025 e 24,6 nel 2026, per poi scendere a 7 miliardi e azzerarsi progressivamente entro il 2035. Va ricordato, ancora, che da maggio il conto è salito di altri 26 miliardi: l’esborso annuale si avvicina quindi a 30 miliardi, tanto quanto la manovra che l’esecutivo si appresta a varare. E insomma, quella che Conte definisce una “campagna vigliacca” portata avanti da Palazzo Chigi “per mascherare i propri fallimenti” è semplicemente la ricostruzione della voragine scavata nel bilancio dello Stato da lui e dal Partito democratico. Perché poi, al dunque, a pagare sarà il governo Meloni.

Prima di tutto perché ogni anno incasserà meno entrate fiscali del previsto. E poi perché sarà costretto a rivedere il deficit del 2023, che difficilmente si fermerà al 4,5% come scritto nel Documento di Economia e Finanza (Def) di aprile. E la colpa, ancora una volta, è del bubbone dei crediti di imposta, che vanno contabilizzati nell’anno in cui sono concessi. Sempre a maggio, il Mef calcolava per il 2023 una spesa per Superbonus e bonus Facciate dello 0,7% del Pil, circa 14 miliardi. Se le stime circolate sui nuovi lavori sono corrette, a fine anno il 110 costerà 30 miliardi: una quindicina di miliardi in più che andranno ad aumentare il disavanzo. C’è poi la questione della classificazione dei crediti di imposta, sui cui è attesa a breve una decisione dell’Eurostat.

Contattato da Libero, l’Istituto di statistica ha sottolineato che la “trasferibilità è l’elemento più importante” per contabilizzare i bonus edilizi nel bilancio del 2023. Siccome, però, da febbraio questi crediti non sono più trasferibili, è probabile che Eurostat chieda al governo di spalmarne il costo nel periodo in cui verranno scontati dalle tasse (4 anni per il Superbonus). Di conseguenza, il deficit del 2024 peggiorerebbe di circa 5-6 miliardi, lo 0,3% del Pil (un quarto del costo totale sostenuto nel 2023 per il 110), mentre migliorerebbe il disavanzo di quest’anno. Il Tesoro dovrebbe così ritoccare l’obiettivo del 3,7% previsto nel Def, proprio nell’anno in cui, salvo sorprese, tornerà in vigore il Patto di Stabilità. Il pasticcio contabile del Superbonus continua a fare danni.

 

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