Estratto dall’articolo di Valerio Chiapparino per IlGiornale

Il Nonproliferation Policy Education Center ha provato ad immaginare come potrebbe degenerare in fretta un confronto militare tra Israele e Iran. Lo spettro dell’escalation nucleare in Medio Oriente.

Per Tel Aviv è arrivato il momento della de-escalation. O almeno questo è l’appello rivolto allo Stato ebraico dai suoi alleati, Stati Uniti e Regno Unito in testa, senza i quali l’attacco lanciato da Teheran avrebbe potuto avere conseguenze ben più drammatiche di quelle riportate. Il governo di emergenza guidato dal premier Benjamin Netanyahu ha però già fatto sapere che intende rispondere all’assalto aereo del regime teocratico. E mentre la crisi in Medio Oriente sembra entrare in una fase di caos calmo, conviene prestare attenzione ai risultati di una recente simulazione condotta dal Nonproliferation Policy Education Center per comprendere come potrebbe configurarsi un conflitto diretto tra Israele e Iran.

Il war game, svoltosi a fine anno scorso, ha visto la partecipazione di esperti, assistenti parlamentari, funzionari e militari Usa divisi in vari gruppi. Ognuno di essi, a seconda delle sessioni organizzate dal think tank, è stato chiamato a rappresentare e a simulare le reazioni, tra gli altri, del ministero della Difesa, degli Affari esteri e della comunità dell’intelligence israeliane nonché quella degli Stati Uniti, dei Paesi arabi e dell’Unione Europea.

Lo scenario prefigurato dal centro studi si svolge nel 2027 e immagina che i servizi segreti dello Stato ebraico scoprano che l’Iran stia armando i suoi missili a lungo raggio con delle testate nucleari. Sin dall’inizio della simulazione, Washington rifiuta l’invito di Tel Aviv a partecipare ad un attacco militare contro strutture legate ai programmi atomici e missilistici iraniani ma fornisce all’alleato storico i missili ipersonici. Armi subito adoperate dagli israeliani per colpire il regime degli ayatollah ma insufficienti a metterne fuori gioco le capacità atomiche.

A questo punto, Hezbollah e Houthi, i movimenti in Libano e Yemen foraggiati dalla potenza sciita, scatenano un pesante attacco missilistico contro Israele. Il reale obiettivo è quello di degradare la difesa israeliana. Infatti, dopo la controreazione dell’Idf volta a ridimensionare i sostenitori di Teheran, la Repubblica islamica sfrutta le vulnerabilità dell’avversario per colpire i suoi edifici governativi e le sue strutture nucleari.

In contemporanea con questa micidiale offensiva, l’Iran si ritira dal trattato di non proliferazione nucleare segnalando di essere pronta a ricorrere ad armi di distruzione di massa. A tal proposito è importante ricordare che, secondo le ultime stime, il Paese sciita sarebbe già in possesso di una quantità di uranio arricchito necessario per la costruzione di tre bombe nucleari.

Nel contesto del wargame, gli americani continuano a non unirsi a Tel Aviv per annientare definitivamente il programma nucleare iraniano, limitandosi ad offrire “assistenza” all’alleato e ammonendolo dal reagire. L’atteggiamento di Washington rafforza in Israele la convinzione di trovarsi in una situazione di isolamento inducendolo a sferrare un attacco nucleare non letale e dimostrativo in un’area remota del territorio del nemico.

Le azioni intraprese dallo Stato ebraico, combinate con il lancio di missili e di attacchi informatici e con la parallela apertura di un canale diplomatico per porre fine alla crisi, non piegano il regime dei pasdaran né hanno maggiore successo i bombardamenti nucleari di precisione contro obiettivi militari. L’Iran, lungi dal collassare, risponde con un’offensiva nucleare contro Israele. È così che si conclude una parte della simulazione del think tank a cui fa seguito un’accesa discussione tra i partecipanti sui risultati registrati.

Sono pochi gli elementi rassicuranti che emergono dalla riflessione sullo scenario apocalittico previsto dal war game. Tra questi, si segnala una considerazione decisamente utile alla luce degli eventi delle scorse ore. Per scongiurare una guerra in Medio Oriente, sostengono gli esperti, è necessario accelerare sull’ampliamento della rete di alleanze d’Israele e in particolare degli accordi di Abramo.

Solo così si potrebbe evitare che i decisori israeliani, percependosi isolati e accerchiati da nemici, possano concludere che per garantire la sicurezza nazionale dello Stato ebraico l’unica opzione possibile sia quella di scommettere su una pericolosa escalation con la Repubblica islamica.

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