Estratto dall’articolo di Andrea Indini per IlGiornale.it

Paola Belloni, vista al Tribunale di Roma con Saviano, se la prende coi tabloid ma poi si mette sotto i riflettori.

Pochissime uscite pubbliche da quando la compagna, Elly Schlein, è diventata segretaria del Pd. Tutte centellinate col contagocce, tutte fortemente politicizzate. Perché sa perfettamente dove, quando e chi colpire. Ogni volta che decide di uscire allo scoperto, lo fa in punta di piedi. Le basta usare Instagram, profilo che muove pochissimo ma sempre per lanciare messaggi precisi, o metterci la faccia, anche restando in silenzio. Paola Belloni non è affatto quel personaggio schivo e geloso della propria privacy che aveva cercato di farci credere di essere quando Diva e Donna aveva scodellato i primi scatti rubati a fianco dell’ex sardina.

Martedì, a sorpresa, ce la siamo ritrovata a piazzale Clodio, accanto a Michela Murgia, a sostenere moralmente Roberto Saviano chiamato a rispondere degli insulti a Giorgia Meloni. «Bastarda», le aveva detto nel 2020 durante una puntata di PiazzaPulita in cui si parlava di immigrazione. L’accusa è diffamazione. E questo dovrebbe trovare tutti d’accordo. Chi non lo è, faccia un esperimento: fermi uno sconosciuto per strada, gli dica «bastardo!» e veda un po’ la reazione. Nel migliore dei casi rischia una raffica di improperi, nel peggiore un pugno sul grugno. A sinistra, invece, sono dell’avviso che l’autore di Gomorra abbia fatto bene. La Murgia è tra questi. Per lei dare della «bastarda» alla Meloni è addirittura «cultura». Parole sue: «Appena sente la parola cultura questa destra mette mano alla querela». Un’assurdità che la Belloni pare condividere visto che l’ha accompagnata nello stucchevole pellegrinaggio in onore del martire Saviano.

L’amicizia con la Murgia non è una novità. Il 27 marzo, due settimane dopo la vittoria della Schlein alle primarie, la Belloni pubblica la prima foto su Instagram. Il profilo è pubblico e il post è di sole tre parole: «under my skin», sotto la mia pelle. Nell’immagine sorride mentre si nasconde dietro l’amica. In evidenza, sull’avambraccio destro, il tatuaggio: una donna si copre con la mano l’occhio mentre nell’altro arde una fiamma rossa. Non è un disegno qualunque, ma il simbolo del podcast della Murgia.

Il profilo sarebbe passato del tutto inosservato se, l’indomani del servizio di Diva e Donna, la Belloni non avesse deciso di rispondere con un post. Foto posata. Set fotografico studiato ad hoc. La fotografa contattata tramite Enrica Chicchio, nome che al tempo non diceva granché ma che qualche settimana dopo, grazie a un’intervista a Vogue, abbiamo scoperto essere l’armocromista della Schlein.

Ma torniamo al post. «Cara giornalista comunicare a mezzo stampa l’intimità affettiva di una persona è un atto ingiusto si era lamentata – ne sono stata travolta». Poi, spostato il mirino, la raffica di mitra per rivendicare «matrimonio egualitario, tutele per figli e figlie di famiglie omogenitoriali e legge contro l’omolesbobitransfobia». «Essere la compagna di una figura pubblica – aveva infine concluso – vi ha fatto pensare di avere il diritto di esporre me quanto è esposta lei». Peccato che a usare la loro relazione per attaccare la Meloni era stata per prima la Schlein. «Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre aveva detto a un comizio ma non per questo sono meno donna». Non solo. Visto come ha strumentalizzato il servizio di Diva e Donna, è chiaro che nemmeno alla Belloni dispiace fare politica. Ma pretende di farlo quando e come vuole lei. E purtroppo non funziona così.

 

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