Estratto dall’articolo di Luca Fazzo per IlGiornale

Nell’interrogatorio sul video dell’incontro Renzi-Mancini il capo del Dis Belloni vieta ai pm l’accesso ai documenti.

Con il segreto di Stato, nel corso dei decenni, sono stati coperti misteri grandi e piccoli della storia d’Italia. Adesso si scopre che col segreto di Stato, cioè con le esigenze di sicurezza della nazione, è stata nascosta la verità su un tema certo interessante, ma che a fatica può essere inquadrato tra le esigenze superiori del Paese: i rapporti tra i servizi segreti e la redazione di Report, la trasmissione d’inchiesta più famosa delle reti Rai. Sulla fonte delle loro notizie i giornalisti di Sigfrido Ranucci si sono sempre, giustamente, avvalsi del segreto professionale. Ma fa un certo effetto (e solleva qualche interrogativo) apprendere che i vertici della nostra intelligence hanno rifiutato di spiegare se e quali rapporti esistano con la redazione di Report in nome del segreto di Stato. E che questo segreto sia stato confermato dal presidente del Consiglio dell’epoca, Mario Draghi, sempre in nome della sicurezza nazionale.

A raccontare questa storia è un verbale di interrogatorio che porta la data del 2 maggio 2022. In una stanza della questura di Roma ci sono due pm della procura di Ravenna, due avvocati romani e una testimone: Elisabetta Belloni, nominata un anno prima dal governo Draghi direttore del Dis, il dipartimento che coordina i servizi segreti, e a oggi ancora in carica. Tema dell’interrogatorio, il famoso video trasmesso da Report il 3 maggio 2021, in cui Matteo Renzi incontra in un autogrill l’allora «vice» del Dis Marco Mancini. Filmato (casualmente, secondo la versione ufficiale) da una prof di passaggio, l’incontro approda a Report, porta alla rimozione di Mancini, e convince Renzi di essere tenuto d’occhio da una parte di apparati dello Stato.

Il 2 maggio la Belloni viene convocata per spiegare cosa sa del video che ritrae Mancini e Renzi. A fare le domande, insieme ai pm, sono i legali di Mancini, Paolo de Miranda e Luigi Pannella. La Belloni esordisce con una «sommessa ma ferma richiesta» di evitare l’interrogatorio, ma i pm ordinano di andare avanti. E inizia la sfilza di risposte, o meglio di non risposte: «mi avvalgo del segreto di Stato». Le chiedono se ha accertato chi era l’ex agente segreto che, con volto nascosto, ha riconosciuto in Mancini l’interlocutore di Renzi: «segreto di Stato». Le chiedono se le scorte di Mancini e Renzi sono formate da appartenenti ai servizi: «Segreto di Stato». La stessa risposta arriva a una domanda cruciale: «è a conoscenza se appartenenti al Dis, Aisi o Aise siano in contatto anche occasionale con qualcuno riconducibile alla trasmissione Report?». Risponde la Belloni: «Eccepisco il segreto di Stato».

É una risposta sbalorditiva, perchè non riguarda l’organizzazione interna dei nostri 007, i cosiddetti «interna corporis» su cui è prassi costante eccepire il segreto. Davanti all’ipotesi di un canale diretto tra l’intelligence e Report il capo del Dis aveva diverse possibilità: poteva escluderne l’esistenza, dire di non saperne niente, ammettere e spiegare. Sceglie la quarta: coprire tutta la vicenda con il segreto di Stato, lasciando così la porta aperta al dubbio. A una sola domanda risponde, quando le chiedono se conosce Immacolata Chaouqui e Cecilia Marogna, le due dark lady dei segreti vaticani: «No». Ma quando le chiedono se le due erano in rapporto con servizi segreti stranieri, e se ha fatto svolgere accertamenti su di loro, torna a blindarsi: «Eccepisco il segreto di Stato».

Davanti alla decisione di Elisabetta Belloni i due pm di Ravenna, Antonio Bartolozzi e Daniele Barberini, il 6 maggio scrivono al presidente del Consiglio, Mario Draghi, chiedendo conferma dell’esistenza del segreto. Il 16 giugno con protocollo «riservatissimo» Draghi risponde togliendo il segreto su tre domande marginali e confermandolo su tutte e quindici le altre, rientranti «nelle categorie considerate tutelabili al massimo livello dalla vigente normativa sul segreto di Stato». «Dal disvelamento di tali elementi deriverebbe una grave lesione dei preminenti interessi afferenti alla sicurezza dello Stato», scrive il premier. Se sapessimo davvero la verità sui rapporti tra Report e i servizi, l’Italia sarebbe in pericolo. Ma davvero?

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